domenica 9 marzo 2008

Come Messina città è stata "toccata" dalla malapolitica proveniente dalla provincia di Messina, da quella di RC e dalle altre città calabresi

Un ottimo testo sul malaffare, sulla malapolitica, ma anche in alcuni casi sulla mafia a Messina è il testo "Le mani sull' università del Comitato messinese per la pace e il disarmo unilaterale " (per quanto ci consta, nell'attesa di essere smentiti, testo apparentemente fondato poichè ancora in commercio e comunque apparentemente non oggetto di azione giudiziaria). Oggi cominciamo ad estrapolare i nomi presenti in quel testo per verificare la loro provenienza.
Cominciamo da quella che alcuni (anche gli autori del testo) individuano come coloro i quali avrebbero contribuito a dare il via all' attuale dissesto politico-sociale dell'università della sanità messinese.
defunto Rettore Sig. Dott. Diego Cuzzocrea (di Seminara, provincia di Reggio Calabria ,si badi non Reggio città).
Traiamo dal libro del 1998 ".......Una continuità benedetta dal duo d'Alcontres-d'Aquino, i baroni che con il loro impegno hanno assicurato il trionfo elettorale del professore Diego Cuzzocrea, nato 55 anni fa a Seminara (Rc), ordinario di Chirurgia generale a Medicina e direttore della terza clinica chirurgica del policlinico. Il Magnifico è membro di una facoltosa famiglia di proprietari terrieri divenuti in pochi anni imprenditori di successo del settore farmaceutico, informatico e della sanità privata, con interessi che nel tempo sono spaziati dall'edilizia, alla ristorazione, ai servizi, all'emittenza televisiva. Il gruppo economico dei Cuzzocrea-Candido è un nucleo di potere straordinario cresciuto grazie ai legami tra le due famiglie calabresi, che improvvisamente hanno deciso di trasferire al di là dello Stretto il baricentro dei propri affari. E Messina ha portato fortuna...
Potenzialmente le società dei Cuzzocrea-Candido potrebbero partecipare a quasi tutti gli appalti pubblici banditi. La loro strategia è da sempre questa: parte dalla famiglia si occupa del settore imprenditoriale, il resto occupa posti di potere nell'apparato pubblico. Alcuni fratelli siedono nei consigli di amministrazione, altri nei collegi sindacali; poi ci sono i nipoti, anch'essi soci o consulenti legali e se necessario difensori di fiducia. Non è assolutamente facile districarsi nel gioco delle partecipazioni e delle intestazioni delle società del gruppo Cuzzocrea: generalmente ogni membro delle famiglia ha partecipazioni in ogni società, in modo da creare labirinti e ragnatele di difficile lettura.
Tra le principali, comunque, c'è la “Sitel spa”, società del settore informatico e telematico, amministrata da Aldo Cuzzocrea (fratello del rettore, già amministratore della Usl 44 di Lipari), che ha come soci la “Partecipazioni spa” e la “Penta Immobiliare srl”. E' l'impresa che si è inserita con più forza nei centri nevralgici della città di Messina. Il policlinico universitario, dove gestisce le operazioni di carico farmaci (evidente il conflitto d'interessi tra la posizione di Diego prima come “barone” del policlinico, poi come rettore, ed il ruolo imprenditoriale di Aldo), ed il Comune dove in consorzio con la Bull e la Mds si è aggiudicata sotto l'amministrazione del sindaco Leonardi la gestione dei servizi informatici. A fine luglio 1997, la Sitel insieme alla Bull ha riottenuto l'appalto dal Comune di Messina, offrendo un ribasso del 41,16% sul prezzo a base d'asta di 5 miliardi e 800 milioni.
Nella Penta e nella Partecipazioni c'è l'intero nucleo familiare: Maria, Aldo, Dino e Diego Cuzzocrea, Maria, Bonaventura e Salvatore Candido, gli ultimi due, nipoti del Magnifico, già affiliati insieme allo zio Aldo nella loggia massonica “Giuseppe Minolfi” del Grande Oriente d'Italia, poi transitati nella Gran Loggia Regolare d'Italia del venerabile Giuliano Di Bernardo. Il primo dei fratelli, Bonaventura, è l'avvocato di fiducia del gruppo, in sede civile e penale. Salvatore Candido, già funzionario del Credito italiano a Milano, è stato chiamato nel marzo 1996 alla Bers, la Banca europea allo sviluppo che opera principalmente sul fronte dell'intervento finanziario nei paesi dell'Est europeo e dell'ex Unione sovietica.
Nella “Penta Immobiliare” (amministratore delegato Alessandro Candido), oltre alla famiglia Cuzzocrea al gran completo, risulta socio anche Ignazio Barberi, loro cognato, direttore della cattedra di Pediatria sociale e puericultura dell'università, ex consigliere ed assessore comunale Dc. E per restare in casa scudocrociata, tra gli ex soci, l'avvocato Silvio Maltese, un tempo nello studio legale dell'ex sindaco di Messina, poi senatore della Repubblica Antonio Andò.
Contare tutti i nomi che orbitano attorno agli interessi della famiglia Cuzzocrea è un lavoro durissimo. Sono tantissimi. Uomini e donne con nomi altisonanti. Professionisti, docenti, industriali e politici. La Messina che conta è tutta lì. La stessa che ha sostenuto la corsa di Diego Cuzzocrea ad uno dei posti più rappresentativi e politicamente determinanti della città.
Le ramificazioni di più di una decina di società commerciali affondano nel tessuto economico della città, per oltrepassare i confini e insinuarsi in altre imprese “eccellenti”. L'anello di congiunzione è la “Polindustriale spa”, una società di proprietà di Aldo Cuzzocrea, Francesco Colonna, Michele Chemi e Francesco Natoli, collegata attraverso la “F.lli Costanzo srl” alla “Partecipazioni spa”. E' proprio la Polindustriale a possedere una lieve partecipazione nella “Confidi”, un consorzio di garanzia collettiva e fidi tra piccole e medie aziende della provincia di Messina. L'oggetto sociale del consorzio è quello di fornire ai soci consulenze finanziarie, legali, tributarie e fondi rischi.
Amministratore della “Confidi” è l'avv. Elio La Tassa, socialista di ferro, arrestato qualche anno fa dai giudici di Mani Pulite, mentre tra i consiglieri spiccano i nomi di Oscar Cassiano (il plurinquisito collettore di tangenti degli onorevoli Capria e Astone) e i costruttori Michelangelo Mangiapane, Gioacchino Finocchiaro e Carlo Contino. Vicepresidente del consorzio è Francesco Colonna, socio di alcune imprese del gruppo Cuzzocrea.
La famiglia di Seminara ha diversificato i suoi interessi, lanciandosi nell'apertura di locali e ristoranti alla moda: a Messina possederebbero l'esclusivo club “Arancia di Mezzanotte”, mentre è di appena un anno fa l'apertura di un'immensa birreria, “Il Grifone” in via La Farina. A Roma sarebbe titolare di un noto ristorante vip nelle vicinanze di via Veneto. Fallita invece l'avventura nell'emittenza televisiva: a fine anni ottanta hanno dovuto cedere Telespazio alla cordata Siracusano-Pagano, ex andreottiani, costruttore il primo, parlamentare Ccd il secondo. Per comprendere la trasversalità politica dei Cuzzocrea, elemento determinante per il loro di successo, nel consiglio di amministrazione della tv, c'erano i socialisti Salvatore Rizzo, presidente dell'ordine degli ingegneri e l'avv. Gaetano Marotta, dirigente regionale dell'Automobil club.
Sono però le attività del settore farmaceutico quelle che hanno rappresentato un vero e proprio pozzo di San Patrizio per il gruppo di Seminara. Maggiori aziende per fatturato la “Unifarc” (soci la Sitel e la Partecipazioni) e la “Alcafarm” (Alleanza calabra farmaceutica), entrambe presiedute da Aldo Cuzzocrea, di proprietà della “Safarm spa” e della “Nuova Safarm spa”. Dall'Alcafarm, le immancabili partecipazioni in altre società farmaceutiche siciliane, la “Gecofarm” e la “Nuova Alcafarm” di Belpasso, la “Scravaglieri” di Catania e la “Unifarpa” di Bagheria.
La Nuova Alcafarm di Belpasso è stata cancellata dal registro delle imprese in data 20 gennaio 1998 in seguito a fusione mediante incorporazione nella “Farm. Alarico Spa” di Montalto Uffugo, Cosenza.
Il grande sogno dei Candido-Cuzzocrea è quello di realizzare a Messina un grande polo medico privato. Il primo passo è stato conseguito nel marzo 1996 con l'ingresso del gruppo nella Clinica Cappellani di viale Regina Elena. La società neonata “Sviluppo srl” (scopi sociali la gestione di cliniche, ambulatori, case di riposo, generi alimentari e farmaceutici, la costruzione di immobili; amministratore unico Dino Cuzzocrea) ha strappato alla famiglia Verzera il 94% della titolarità della prestigiosa clinica privata (titolare la “Cappellani srl”), dove già nei primi anni sessanta sedeva da direttore sanitario il prof. Salvatore Barberi, cavaliere del S. Sepolcro, ex preside della facoltà di Medicina e parlamentare Dc in 5 legislature, recentemente scomparso. E' stato grazie al figlio Ignazio Barberi, cognato dei Cuzzocrea, che la famiglia di Seminara ha intrapreso la scalata alla clinica nel marzo 1996, anche se in passato il Magnifico Diego vi aveva prestato la sua opera di chirurgo............"

"....... Farmaci a rischio

Le dichiarazioni del titolare di una ditta fornitrice di attrezzature sanitarie per il policlinico stavano per bloccare la sfolgorante carriera del professor Diego Cuzzocrea. Poi per fortuna, nel febbraio del 1995, il chirurgo si toglie il pensiero di un procedimento giudiziario che minaccia la sua ascesa a rettore d'ateneo. Il dott. Elio Nicosia, titolare della “Sogepa Teknica srl” di Palermo ritratta infatti le accuse che avevano dato inizio al procedimento in cui veniva contestato il reato di concussione. L'accusatore aveva dichiarato che Diego Cuzzocrea e il prof. Pasquale Mastroeni, direttore dell'Istituto di microbiologia dell'università, lo avrebbero costretto a pagare venti milioni (un "contributo per un congresso") a Cuzzocrea, mentre Mastroeni avrebbe preteso biglietti aerei ed il pagamento di servizi alberghieri. Ai magistrati di Termini Imerese che avevano aperto il fascicolo, il titolare dell'azienda farmaceutica aveva aggiunto che era prassi consolidata invitare docenti universitari per seminari o per la presentazione di nuove attrezzature, e poi pagare loro le spese di viaggio e di soggiorno.
Nel marzo 1994, quando era scattata l'indagine della procura della Repubblica di Messina, il caso Cuzzocrea-Mastroeni aveva fatto sfiorare la “crisi” a Palazzo Piacentini tra i magistrati che conducevano l'inchiesta. Da una parte il sostituto Giuseppe Santalucia (il magistrato che aveva fatto scattare le manette contro l'ex rettore d'Alcontres per l'affidamento delle consulenze al prof. Falzea), che premeva per l'arresto o almeno la sospensione dell'incarico dei due protagonisti; dall'altra i due sostituti Angelo Giorgianni e Vincenzo Romano che alla fine ebbero la meglio e firmarono solo la richiesta di rinvio a giudizio (Centonove, 2 aprile 1994).
L’aver evidenziato in un articolo su Il Giornale lo scontro tra i sostituti e le “stranezze del trattamento d’inerzia in favore dei Cuzzocrea nelle vicende giudiziarie che li riguardavano allorché le inchieste erano svolte nell’ufficio di Procura diretto dal dottor Antonino Zumbo, cognato di uno dei fratelli inquisiti”, è costata la condanna del corrispondente Roberto Gugliotta alla multa di due milioni, sentenza confermata in appello qualche giorno dopo la visita a Messina della Commissione parlamentare antimafia del 18 febbraio 1998.
Anche il fratello Aldo Cuzzocrea era uscito illeso da un procedimento giudiziario, nel settembre del 1995, quando era commissario straordinario della Usl 44 di Lipari (evidente il conflitto d'interessi, trattandosi di un industriale farmaceutico); l'accusa era di aver revocato l'appalto per lo smaltimento dei rifiuti alla ditta “Aria” di Catania e di averlo assegnato alla “Chemimar” di Messina. Il reato contestato era di abuso d'ufficio; Cuzzocrea era stato prosciolto dal gip ma il sostituto Marcello Minasi aveva proposto ricorso. La corte d'appello, composta tra gli altri dal dottor Melchiorre Briguglio, ha confermato l'assoluzione per Aldo Cuzzocrea, difeso nell'occasione dal nipote Bonaventura Candido.
Sono stati (e sono) però i farmaci a dare i maggiori grattacapi alla potente famiglia di Seminara. Nell'ottobre del 1995, la Guardia di finanza calabrese è impegnata nella caccia ai flaconi di emoderivati “infetti” prodotti dalla ditta “Sclavo” di Siena, che attraverso una serie di imprese controllate ha in pratica il monopolio del settore. A Catanzaro vengono sequestrati cento flaconi di “Ig vena” e due di “Koate 1000”, infettati con Hcv, il virus dell'epatite C. Altri 12 flaconi di questo lotto sono stati venduti a Locri. Provenivano da un deposito farmaceutico di Reggio, distribuiti da un "grossista di Messina". Il quotidiano locale si guarda bene dal dire di chi si tratta. Nel frattempo, le fiamme gialle sequestrano 5 mila flaconi in tutta Italia. In Calabria, sono state interessate al sequestro le Usl di Catanzaro, Cosenza, Palmi e Locri. In Sicilia, tra le altre, sono interessate al sequestro la “Nuova Safarm spa”, con sede a Piano Tavola, in provincia di Catania e la “Unifarc spa”, con sede a Tremestieri, zona sud di Messina (cfr. Gazzetta del Sud, 27 ottobre 1995).
Abbiamo già incontrato questi due nomi: la Nuova Safarm possiede le azioni della Alcafarm; la Unifarc è la società che ha come soci la “Partecipazioni spa” e la “Sitel srl”. Alcafarm, Unifarc, Sitel e Partecipazioni sono presiedute dalla stessa persona: Aldo Cuzzocrea.
Il settimanale Centonove del 20 febbraio 1998 ha ricostrutito una incredibile vicenda che vedrebbe da una parte la famiglia Flaccomio titolare di una farmacia di Castoreale e dall'altra tre aziende del gruppo Cuzzocrea, la “Farmaceutica spa”, la “Alcafarm spa” e la “Salvatore Cuzzocrea”, creditrici nei confronti dei Flaccomio alla data del 31 dicembre del 1987 di circa 187 milioni di lire. Nell'ottobre 1995 la Farmaceutica deposita al tribunale di Barcellona un'istanza di fallimento contro Anna Teresa Flaccomio, figlia del precedente titolare; secondo la ditta dei Cuzzocrea, il debito ammonterebbe a 2 miliardi e 266 milioni. Tra le carte dei farmacisti c'è però una lettera indirizzata al Banco di credito siciliano con la quale si chiede di accreditare l'importo di 329 milioni a favore del dottor Alessandro Candido, con valuta 1 aprile 1988. Somma che pertanto dovrebbe essere uscita dalle casse della farmacia ma che non sarebbe stata sufficiente a saldare le fatture emesse dalle ditte dei Cuzzocrea. Di questa operazione non ci sarebbe traccia nei conti e comunque non esisterebbe corrispondenza tra la cifra pagata con i crediti vantati dalle aziende fornitrici dei farmaci. Veniva presentato un esposto alla Procura di Messina nella quale si ipotizzavano i reati di truffa e falso in bilancio. Dopo una convocazione da parte dell'allora sostituto Giovanni Lembo, il 21 febbraio 1992, i titolari della farmacia di Castroreale non hanno saputo più nulla della loro denuncia.
La vicenda che più ha colpito l'immagine della famiglia di Semianara è però quella che riguarda le forniture di farmaci al policlinico. Protagonista la loro società informatico-farmaceutica, la Sitel.
Secondo i giornali dell'epoca, il primo sequestro di atti riguardanti l'approvvigionamento di medicinali e apparecchiature da parte del nosocomio universitario fu eseguito dai giudici messinesi il 3 giugno 1993. Da qualche giorno si era conclusa con 10 rinvii a giudizio l'inchiesta su una presunta corruzione legata all'acquisto di materiale sanitario, con diversi milioni che sarebbero stati “girati” dai responsabili della casa farmaceutica “Bracco Spa” di Milano ad alcuni medici operanti in due ospedali cittadini e al dottor Carmine Antonio Certo, aiuto primario presso la Clinica radiologica del policlinico e al tecnico dello stesso istituto Alberto Mosca. I contributi in denaro avrebbero favorito l'acquisto di prodotti della “Bracco” a danno di altre cause farmaceutiche.
Il 7 ottobre 1993, i soliti ignoti s'introducono nei locali della Divisione appalti e contratti del policlinico; vengono sottratti alcuni fascicoli contenenti atti relativi ad alcune gare d'appalto per un importo di 10 miliardi bandite nei mesi precedenti, riguardanti l'acquisto di medicinali e reagenti, materiale sanitario, la raccolta dei rifiuti speciali, la vigilanza dei locali e il servizio di lavanderia.
Undici giorni dopo, i carabinieri su richiesta del procuratore Luciano Sindoni e dei sostituti Vincenzo Barbaro, Salvatore Mastroeni e Pietro Siciliano, si recano nuovamente al policlinico per sequestrare gli atti relativi all'acquisto e alla gestione di reagenti e farmaci. I giudici sarebbero stati incuriositi dall'imponente lievitazione dei costi per l'acquisto dei medicinali, passati in pochi anni da alcuni milioni ad alcune decine di miliardi, nonostante venisse lamentata la cronica carenza di farmaci da varie cliniche. Ciò che lasciava fortemente perplessi era il ruolo della direttrice del servizio di farmacia Concetta Paone, cugina di uno dei delegati del rettore (il dottor Giuseppe La Monica), che nonostante fosse stata alle dirette dipendenze della Sitel di Cuzzocrea, era stata nominata responsabile di questo importante servizio. Oltre al sistema di approvvigionamenti farmaci, vengono monitorate le convenzioni con alcune strutture private. Si apprende di un avviso di garanzia inviato al primario della prima Clinica medica del policlinico prof. Fausto Consolo, che verrà sospeso dalle sue funzioni un anno più tardi dal Gip Ada Vitanza, per “aver presentato al rettore richieste di acquisto in esclusiva di vario materiale per la dialisi precludendo così il ricorso ad una pubblica gara e consentendo all’azienda fornitrice (la “G. Ippolito”) di praticare il prezzo più alto di quello pagato dai centri privati” (Gazzetta del Sud, 12 aprile 1995). Un analogo provvedimento di sospensione dalle funzioni di direttore della divisione di Nefrologia e dialisi del policlinico veniva omesso contestualmente contro il prof. Guido Bellinghieri, indagato per i suoi “presunti” rapporti con tre centri di dialisi privati. Per questi fatti Consolo e Bellinghieri sono attualmente sotto processo.
Stretti congiunti dei due docenti del policlinico risultano in due società private di Messina che svolgono attività diagnostiche e di dialisi. Nel CdA dell’”Amos srl” compaiono i nomi di Pier Luigi Consolo (figlio di Fausto), quale amministratore delegato, e di Pietro Santoro (cognato di Guido Bellinghieri), consigliere. Della “Galeano Società Cooperativa arl”, sono consiglieri Amalia Ragno (moglie di Fausto Consolo e sorella del senatore Salvatore), Carmela Gugliandolo (sua cognata) e Pietro Gavazzi (nipote di Guido Bellinghieri). L’ennesima congiunzione tra le due società è rappresentata da Orazio Miceli, socio dell’”Amos” e fratello di Natalia, consigliere nel CdA della “Galeano”....."


Sig. Onorevole Dott. Saverio D'aquino (defunto) (di Seminara ,provincia di Reggio Calabria)
Sempre tratto dal libro del 1998
"..........Tra politica, mafia e università: il caso d'Aquino

Una delle vicende più torbide relative agli intrecci affaristici realizzati attorno all'Università ha avuto protagonista in tutti questi anni l'on. Saverio d'Aquino, nato a Seminara (e non è il solo), ordinario di Oncologia e fondatore del Centro Tumori del Papardo, vero e proprio feudo elettorale destinato all'imprevisto smantellamento dopo la morte dell'oncologo per volere del magnifico Cuzzocrea, che pure deve allo stesso d'Aquino un notevole contributo per il successo nelle elezioni a rettore.
Un potere immenso quello gestito dall'ex parlamentare liberale, per otto anni sottosegretario di stato agli interni (1987-1994). Da sempre simpatizzante di estrema destra, amava affacciarsi dal balcone di casa in stivali di pelle e camicia nera. "E ogni volta che nasceva un figlio, i camerati lo andavano ad omaggiare. Lui per guadagnarsi gli auspici degli dei, sollevava il neonato tre volte di seguito e lo mostrava un po' alla gente e un po' al cielo" (L'Ora, 5 aprile 1992). E per il matrimonio del figlio Antonio, deputato di Forza Italia alla Regione, anch'egli in forza all'oncologico grazie ad un concorso per ricercatore dove era unico candidato, l'ex sottosegretario d'Aquino fa le cose in grande; cerimonia in Cattedrale, rinfresco nei giardini del San Domenico di Taormina, testimoni di nozze eccellenti: i ministri liberali Raffele Costa e Renato Altissimo, il rettore d'Alcontres, la dottoressa Teresa Candido Cuzzocrea, il professore Salvatore Navarra, il magistrato Franco Providenti.
Ma più che per gli effetti coreografici con cui amava apparire (si pensi all'uso spropositato delle scorte), l'on. d'Aquino verrà ricordato per gli inquietanti legami intrecciati con i poteri eversivi di ambedue le sponde dello Stretto. Agli atti dell'Operazione Olimpia (la maxi-inchiesta della procura di Reggio sui rapporti tra 'ndrangheta, massoneria ed estrema destra) ci sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giacomo Lauro, che costituiscono la struttura portante dell'indagine. Lauro inizia il suo racconto con una vicenda straordinaria: nel 1976, assieme ad alcuni complici effettua una rapina nel caveau della Carical di Reggio Calabria, svaligiando un centinaio di cassette di sicurezza. Tra queste vi è quella del preside Cosimo Zaccone: essa conteneva un'agenda con nomi e numeri. Era l'elenco delle logge coperte. Dopo un anno, i De Stefano ed altri gruppi 'ndranghetisti si muovono per recuperare la preziosa agenda. Lauro nega di averla, quindi la consegna ad un altro massone, suo cugino De Salvo, noto per essere in contrasto con Zaccone.
Lauro viene arrestato e processato. Dell'agenda ne ricorda ancora i nomi, specie quelli che già conosceva: ai giudici elenca avvocati, ingegneri, deputati, prefetti, magistrati ed un medico, l'on. Saverio d'Aquino. "Paolo De Stefano, mi disse che il professore Motta e un altro medico messinese, e cioè il prof. Saverio d'Aquino, erano “uomini loro”, cioè erano stabilmente utilizzati per ottenere favori in materia medico-legale", racconta Giacomo Lauro. "Il De Stefano aggiunse che il contatto con i professionisti messinesi gli era stato assicurato da Cosimo Zaccone".
Deve soffiare il vento di tangentopoli perché un collaboratore di giustizia messinese faccia per la prima volta, pubblicamente, il nome di d'Aquino. L'occasione è una delle udienze del processo di primo grado per l'omicidio del giornalista Beppe Alfano. Il 28 novembre 1995, Salvatore Surace, l'ex capo del clan di Mangialupi, racconta che tre anni prima il figlio Cono nel corso di un colloquio in carcere gli aveva riferito che al "suo affiliato Salvatore Longo" era stato "chiesto di “gambizzare” il giornalista che aveva documenti scottanti sul conto dell'on. Saverio d'Aquino". Surace aggiunge di avere dato il suo benestare "anche perché doveva ricambiare a d'Aquino un favore fattogli attraverso il fratello magistrato Luigi (…) Si trattava di un processo per rapina celebrato nel 1984", spiega Surace, "che però non si risolse a mio favore per motivi indipendenti dalla volontà del giudice".
L'ex boss Salvatore Surace, nel fare riferimento al ruolo di intermediario di Salvatore Longo, (l'imprenditore arrestato durante l'operazione “Aula Magna”), aggiungeva che lo stesso "era stato contattato da Salvatore Geraci", assessore liberale a palazzo Zanca, risultato affiliato alla loggia coperta “Giordano Bruno” dell'obbedienza Camea, il Centro esoterico in cui sono state messe in luce gravi infiltrazioni mafiose. Surace tornerà sull'on. d'Aquino durante le udienze del processo contro il clan di Mangialupi, quando dichiarerà di "aver fornito consistenti pacchetti di voti al parlamentare liberale e al senatore socialista Nanni Ricevuto" (quest'ultimo fratello dell'ex preside della facoltà di Scienze), in cambio di 90 milioni di lire.
Il 6 gennaio 1996, la Dda messinese emette un grave atto d'accusa contro d'Aquino: voto di scambio con il boss del quartiere Cep Sebastiano Ferrara. Secondo i giudici, l'allora sottosegretario alla vigilia delle elezioni politiche del 1992, aveva promesso il condono per un residuo di pena che Ferrara doveva scontare a Reggio. Il patto scellerato si sarebbe consumato durante un incontro in Comune, nella stanza di Salvatore Bonaffini, assessore liberale all'acquedotto. L'impegno del clan Ferrara fu notevole: a Messina il Pli passò dai 18 mila voti delle amministrative 1991 ai 22 mila delle politiche 1992. Al Cep il balzo del partito di d'Aquino fu straordinario: il 23,5% dei consensi di fronte ad una media cittadina del 12,7% (Gazzetta del Sud, 7 gennaio 1996).
Lo scorso novembre l'ex padrino Sebastiano Ferrara e l'ex assessore Salvatore Bonaffini sono stati rinviati a giudizio per questa vicenda, incrociatasi con quella che ha portato i giudici reggini a richiedere il rinvio a giudizio di quattro componenti della Dda messinese: il procuratore capo Antonio Zumbo, l'aggiunto Pietro Vaccara ed i sostituti Franco Langher e Gianclaudio Mango. L'inchiesta nasce dopo l'esposto firmato da 4 poliziotti del Commissariato Duomo, secondo il quale i magistrati avrebbero "coperto" l'on. d'Aquino dalle esplosive dichiarazioni di Sebastiano Ferrara (Corriere del Mezzogiorno, 22 novembre 1997). Al centro un furioso scontro interno alla polizia di stato, oggetto la gestione del pentito Ferrara e i suoi rapporti con l'on. d'Aquino; in più l'esistenza di una cassetta in cui sarebbe registrato il colloquio tra l'oncologo ed un emissario del boss nel corso del quale sarebbe stato assicurato l'impegno per il procedimento in corte d'Appello a Reggio. Verbalizzato il racconto di Ferrara dagli agenti del Commissariato, sarebbe intervenuto direttamente il procuratore Zumbo a sconfessare il pentito. Il 23 giugno 1994, è lo stesso magistrato a dichiarare alla stampa che "alla menzogna, Ferrara aggiunge la frode"; viene ipotizzato che il pentimento del boss avesse l'obiettivo di destabilizzare le istituzioni attraverso "false accuse".
Sempre in occasione della campagna elettorale del 1992, i Verdi avevano denunciato l'utilizzazione degli elenchi dei degenti dell'istituto oncologico per l'invio di lettere in cui viene richiesto il voto, con tanto di facsimile per la Camera. "Votando mi farai un vero regalo" concludeva il parlamentare, su carta intestata "Il Sottosegretario di Stato dell'Interno", in busta con affrancatura a carico del ministero. In seguito d'Aquino restituirà alle casse dello Stato la somma di 3 milioni di lire (quasi 4.000 lettere imbucate). L'uso di cartelle cliniche e schede sanitarie era cosa assai nota all'interno dell'ateneo, ma nessuno ha mai sentito il dovere d'intervenire. Altrettanto noto era il fatto che durante ogni tornata elettorale, le sale e i reparti dell'oncologico si trasformavano in segreterie particolari del professore-sottosegretario, ove si distribuivano ai galoppini pacchi di volantini e si effettuavano comizi a dipendenti e pazienti.
La tragedia della giovane Tiziana Amato, morta a 21 anni nella sala operatoria dell'istituto oncologico di Papardo il 19 luglio 1993 in seguito ad un intervento di chirurgia plastica per la riduzione del seno, avrebbe rivelato il vero e proprio mercato dei voti realizzato all'interno del nosocomio universitario. La madre di Tiziana, Lucia Rifici, raggiunta da un'informazione di garanzia per voto di scambio, racconta di essersi rivolta alla clinica di d'Aquino "dietro il suggerimento di un amico di famiglia, Salvatore Bonaffini". Intervistata dal settimanale L'Isola del 5 novembre '93, la Rifici dichiara: "Il consigliere comunale ci ha consigliato di rivolgerci al dottor Antonio D'Aquino, figlio del sottosegretario, il quale ci ha fatto conoscere il professor Mesiti (…) Lui ha telefonato all'Oncologia e il figlio di D'aquino ... mi pare si chiami Antonio, mi ha ricevuta", continua la madre di Tiziana Amato, chiamando in causa l'attuale esponente di Forza Italia a Palazzo dei Normanni. "E' stato tutto gentile, poi ha chiamato il professore Mesiti ... lui l'ha controllata, l'ha vista, dice va bene possiamo farlo e mi ha detto quando poi gliela dovevo portare".
La raccomandazione permise di effettuare l'intervento di gigantomastia al centro tumori, quando questo poteva essere eseguito presso la clinica di chirurgia plastica del Policlinico o nella vicina struttura dell'Usl 41 di Papardo dove, la madre di Tiziana Amato si era sottoposta nell'88 ad analogo intervento. Per sdebitarsi dell'interessamento, la Rifici ha ammesso di aver "raccolto un centinaio di voti per il sottosegretario, in occasione delle ultime elezioni nazionali del 1992". La campagna elettorale sarebbe stata svolta anche a favore del candidato liberale per il collegio senatoriale, il dottor Palumbo. "Ho personalmente partecipato, nel mese di maggio, alla vigilia dell'appuntamento elettorale, ad un comizio dell'on. D'Aquino, in un padiglione fieristico", conclude la Rifici. La cassetta con l'intervista fu sequestrata dai giudici di Messina, che l'allegarono nel fascicolo dell'inchiesta.
Il dossier sull'oncologico si è arricchito nell'ottobre 1993 delle carte sulla presunta truffa che sarebbe derivata dalla convenzione tra la struttura universitaria diretta dal prof. Mario Mesiti e la Giomi (Gestione istituti ortopedici nel mezzogiorno d'Italia), la società che gestisce l'Ortopedico di Ganzirri amministrata da Emanuel Miraglia. Un accordo stipulato tra i due istituti nel 1971 consente all'Ortopedico di usufruire del laboratorio di analisi dell'oncologico; secondo i giudici il laboratorio universitario costerebbe tra analisi, reagenti, personale e manutenzione macchinari 800 milioni l'anno, mentre la Giomi ne pagherebbe appena 6, poi innalzati a 21. Personale dell'oncologico sarebbe stato infine distaccato all'ortopedico. Come dire un buon affare per la sanità privata grazie ai soldi e alle infrastrutture pubbliche. Nel luglio 1995 i magistrati chiedono il rinvio a giudizio dell'ex parlamentare, del direttore dell'oncologico e dell'amministratore della Giomi. Quattro i capi d'imputazione: concorso in abuso, falso, peculato e truffa (L'isola, 28 luglio 1995). D'Aquino avrebbe sottoscritto di suo pugno la convenzione, nonostante fosse sospeso nelle sue funzioni in quanto parlamentare.
Nel corso dell'inchiesta sarebbe emerso che alcuni esami istologici sarebbero stati concessi anche a due cliniche private: la Villa Salus di Messina e la Villa Aurora di Reggio Calabria, la prima di Antonio Barresi, ex assessore socialista alla viabilità ed ex commissario straordinario dell'Opera universitaria; la seconda di proprietà del prof. Caminiti, primario del Piemonte. Per la cronaca Antonio d'Aquino risultava in quegli anni socio della “Ter.Alt.En.” - una s.r.l. titolare del Centro di telecobaltoterapia - dopo aver acquisito la quota sociale direttamente dal padre Saverio. Nella società figuravano inoltre Antonio Barresi, amministratore, la Villa Salus e Donatello De Maio, direttore del servizio di radioterapia del policlinico. La direzione del centro di telecobaltoterapia era invece assegnata al prof. Costantino De Renzis, direttore della Clinica oncologica universitaria. Un altro esempio di discutibile commistione d'interessi pubblico-privati (L'isola, 7 ottobre 1994).
Già nell'estate del '93 i giudici della Pretura Salvatore Mastroeni e Pietro Siciliano avevano inviato i carabinieri all'oncologico per sequestrare gli atti relativi alle richieste di analisi e le forniture di reattivi di due laboratori del presidio, quello per gli esami ematologici e quello per i dosaggi ormonali. L'inchiesta è collegata allo scandalo delle “analisi facili” che aveva già portato all'arresto di decine di medici e funzionari delle Usl messinesi. In precedenza gli agenti di polizia giudiziaria avevano controllato le modalità di smaltimento dei rifiuti all'istituto di Sperone.
Dopo i due avvisi di garanzia per truffa e peculato per la vicenda delle analisi, nel giugno 1994 d'Aquino viene colpito da un atto di sequestro per i cosiddetti comodati d'uso, macchinari scientifici molto costosi prestati temporaneamente da una multinazionale sanitaria all'oncologico in cambio dell'acquistato di farmaci, materiali sanitari e reagenti con prezzi che i giudici (l'indagine è condotta dal pool Angelo Giorgianni, Salvatore Laganà e Vincenzo Romano) presumono essere stati gonfiati.
L'ex parlamentare, nonostante il pesante fardello giudiziario, resterà sino alla morte al timone del suo istituto e del Consorzio meridionale oncologico creato grazie ad una convenzione siglata nel 1992 dal rettore d'Alcontres, dal sindaco di Messina Mario Bonsignore e dal presidente della Provincia Giuseppe Naro....."

Sig. Dott. Salvatore Navarra (di Corleone provincia di Palermo).
Sempre tratto dal libro "Le mani sull'università del 1998"
".... Sulla rotta Corleone-Catania-Messina

Il Policlinico, il maggiore distributore di reddito dell'intera provincia di Messina. Migliaia di dipendenti, tutti i più noti baroni della medicina, un giro d'affari per centinaia e centinaia di miliardi all'anno. E' il professore Salvatore Navarra il vero grande ispiratore della realizzazione del policlinico universitario. Lui è uno degli uomini più potenti della città e grazie al nosocomio ha costruito un immenso potere politico-economico ed universitario, esercitato in maniera discreta, senza mai inutili ostentazioni.
E' Salvatore Navarra l'uomo che ha deciso le nomine a rettore dalla fine degli anni sessanta sino all'era Cuzzocrea. Senza mai aver preso formalmente la tessera della Dc, ha condizionato la vita della grande balena bianca di Messina. Poi con la seconda repubblica ha sposato la causa di Silvio Berlusconi e su invito diretto dell'on. Antonio Martino, ex ministro degli esteri e figlio dell'ex rettore ministro Gaetano, ha accettato di ricoprire il ruolo di coordinatore provinciale di Forza Italia, contribuendo con il suo prestigio a imporre al Polo la candidatura alle prossime elezioni a sindaco di Messina del dottor Salvatore Leonardi, dirigente superiore dell'università di Reggio Calabria e direttore generale del policlinico di Messina.
Nato a Corleone, docente di Medicina e chirurgia, giunge a Messina a fine anni '50 dopo un tour di specializzazione in alcune università straniere ed un breve tirocinio a Catania presso la cattedra dell'illustre chirurgo Basile. In pochi anni brucia la scalata ai massimi vertici della facoltà di Medicina dell'ateneo sino a ricoprire il ruolo di direttore della prima Clinica chirurgica e di direttore sanitario del policlinico, quest'ultimo, sino ai 68 anni di età, 3 anni in più di quanto preveda la legge. Navarra ha lasciato la direzione del nosocomio peloritano nel 1994; nello stesso anno è dovuto comparire davanti al pretore in compagnia dei coordinatori sanitari dei maggiori ospedali pubblici e privati messinesi, per le presunte violazioni nel campo dello smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri. Un procedimento comunque conclusosi con la prescrizione del reato.
Il prof. Salvatore Navarra può vantare uno strettissimo legame familiare di tutto rispetto: egli è infatti fratello dello storico boss Michele, significativamente inteso “u patri nostru”. Direttore dell'ospedale dei Bianchi di Corleone, presidente della Confederazione dei coltivatori diretti e della sezione locale della Dc, Michele Navarra entrò in concorrenza con l'emergente Luciano Liggio, che lo uccise il 10 agosto 1958.
"Capo mafia di vecchio stampo, il dottor Michele Navarra diede grande impulso alla repressione dei contadini in lotta per la terra e al reinserimento della mafia nei feudi del corleonese", scrive di lui il noto giornalista francese Fabrizio Calvi. "Fra i 153 assassinii verificatisi nelle campagne di Corleone dal 1944 al 1948, numerosi furono quelli di sindacalisti. Placido Rizzotto, socialista, segretario della camera del lavoro di Corleone, venne assassinato nel marzo 1948. Giuseppe Letizia, un pastore di 13 anni che aveva assistito all'assassinio, fu portato all'ospedale, dove il dottor Navarra gli fece un'iniezione. Di lì a poco il ragazzo morì (…) A Corleone", continua Calvi, "il giorno delle elezioni centinaia di elettori diventavano ciechi e si presentavano al seggio con un certificato medico di Navarra, accompagnati da un mafioso che doveva controllare il voto..."
Per avere un'idea diretta e completa sui fatti (non non giudichiamo) Vi rimettiamo al testo completo

1 commento:

  1. Come molti paesi hanno riconosciuto il Kosovo infrangendo la risoluzione 1244 dell'ONU anche voi potete dichiararvi e proclamarvi addirittura stato indipendente.
    Fatelo ... in nome di quello che è stato fatto per il Kosovo !!!
    www.inviaggiopertamara.com

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